Diabete: oltre le cellule staminali, oggi si parla di bio-printing

Il diabete è diventato la maggiore causa di preoccupazione per le sue serie ripercussioni sulla salute e per la crescita esponenziale di casi. Secondo l’OMS il numero di persone diabetiche è di 422 milioni con un tasso di mortalità di 1,6 milioni negli anni recenti.

Il diabete rappresenta un costo sanitario molto elevato, stimato nel 2010 per 376 miliardi di dollari spesi per trattare, prevenire e gestire le sue complicazioni cliniche.

Il diabete alla lunga genera danni permanenti agli organi e in particolare al rene, al cuore, al cervello e agli occhi. Il diabete è una patologia metabolica cronica che può essere divisa in due categorie eziopatologiche: il diabete di tipo 1 insulino-dipendente, una forma autoimmunitaria e il diabete mellito di tipo 2 che ricorre quando il corpo usa l’insulina in modo inefficiente.

Il diabete è una delle patologie su cui i ricercatori hanno studiato più intensamente. Oggi si ricorre all’allo-trapianto ma i donatori sono insufficienti rispetto alla domanda e lo stesso richiede il passaggio di un catetere dal fegato. Viene ritenuto pertanto un intervento invasivo.

Cosa possono fare le cellule staminali per la terapia contro il diabete?

La popolazione di staminali più accreditata dalla scienza al momento è quella delle cellule retro-indotte benché siano state già testate una serie di popolazioni staminali che hanno dato un quadro clinico variegato: sono state utilizzate prevalentemente cellule mesenchimali derivanti dal sangue cordonale, dalla gelatina di Wharton, dalle membrane amniotiche e corioniche, dalla placenta, dal tessuto adiposo e si è visto che tutte queste popolazioni originali possono generare cellule in grado di produrre insulina.

Ma la battaglia contro il diabete non è ancora vinta perché la produzione di insulina deve essere efficace e permanente. Una delle complicazioni delle cellule mesenchimali è che oltre a produrre cellule del pancreas potrebbero differenziarsi in tipologie cellulari non desiderate e poco controllabili.

Le cellule retro-indotte secondo il protocollo di Takahashi, se correttamente genotipizzate sono effettivamente degli ottimi candidati per rendere l’autonomia funzionale del pancreas durevole nel tempo. Peraltro non pongono questioni etiche come le cellule staminali embrionali.

Ma la ricerca va oltre. Oggi, grazie alle stampanti 3D di ultima generazione.

Un articolo appena pubblicato sul World Journal of Stem Cells prende in considerazione l’uso delle cellule staminali in combinazione con il bio-printing e il bio-ink. Il primo ha come scopo quello di ricostruire la tridimensionalità dell’organo compromesso e il secondo ha l’obiettivo di iniettare materiale cellulare perché questo si differenzi in situ.

Il futuro sembra risiedere proprio nell’applicazione del modelling di organo con il materiale staminale di origine.

Fonte: World Journal of Stem Cells, gennaio 2019