35 milioni alla prima Banca europea per le cellule staminali pluripotenti indotte
Finanziamento di 35 Milioni di euro per la prima Banca Europea di cellule staminali pluripotenti indotte (Ebisc). Gli Stati europei più impegnati nel nuovo progetto sono Gran Bretagna, Svezia e Belgio.
L’idea che le staminali possano essere la terapia del futuro, lo dimostra il fatto che non c’è continente, stato o paese in cui non si faccia ricerca sulle staminali. E la maggior parte dei fondi vengono investiti sia per trovare le fonti da cui estrarre le cellule totipotenti, ma anche sulle tecniche di riprogrammazione delle staminali adulte (Ipsc) in modo da farle tornare allo stato embrionale, e quindi capaci di svilupparsi in qualsiasi organo o tessuto. I primi a riuscirci sono stati i giapponesi, dove qualche mese fa è partito il primo studio clinico al mondo che usa proprio le staminali riprogrammate della cute trasformate in neuroni della retina per curare una forma di retinopatia.
L’Europa è entrata con forza in questo “mercato”, con il braccio operativo Imi (Innovative Medicines Initiatives), il partenariato paneuropeo pubblico privato tra la Commissione europea e la Efpia (Federation of Pharmaceutical Industries and Associations), che promuove la collaborazione tra tutti i principali stakeholders, comprese le imprese del settore biofarmaceutico e della sanità, legislatori, accademie e pazienti. E lo ha fatto lanciando e finanziando con 35 milioni di euro il progetto Ebisc, la prima Banca europea per la cellule staminali pluripotenti indotte (Ipsc). Coordinato da Pfizer e gestito da Roslin Cells, comprende società farmaceutiche, piccole e medie imprese (Pmi), organizzazioni non-profit, istituzioni accademiche, agenzie pubbliche. L’ Obiettivo principale è costruire una robusta e affidabile catena di approvvigionamento di linee cellulari, con parametri di qualità accettati a livello internazionale.
Ebisc dovrà, in un secondo momento, essere un sistema centralizzato, senza fini di lucro, che fornisce ai ricercatori di tutto il mondo accademico e all’industria strumenti di alta qualità per lo sviluppo di nuovi farmaci. Un esempio plastico di sinergia tra l’interesse commerciale delle Big Pahrma e l’interesse pubblico di un continente intero. Il Vecchio Continente, a differenza degli Stati Uniti, non finanzia direttamente la ricerca sulle staminali embrionali, ma sono i singoli Paesi a decidere su quali e in che misura farlo.
«In Italia – dice Amedeo Santosuosso, docente di diritto, scienza e nuove tecnologie dell’Università di Pavia – si può fare ricerca sulle cellule di origine embrionale ma solo su quelle importate. Per quanto riguarda le biobanche dedicate alla ricerca, la situazione è analoga a quella statunitense, anche se nel nostro sistema l’aspetto commerciale non è presente e il finanziamento è pubblico o sostenuto da enti non profit quali Telethon: ne esistono di vario tipo, in vita da anni o nate di recente e caratterizzate da finalità diverse».
E negli altri Paesi? In Australia e in Canada sono più flessibili in materia di ricerca sulle staminali, anche se mai tanto quanto la Cina o la Corea del Sud. I fondi nazionali canadesi sostengono gli esperimenti che usano le staminali adulte come terapia, per riparare le cellule danneggiate dall’infarto, per esempio. Possono però essere usati anche gli embrioni in esubero della fecondazione assistita. La clonazione terapuetica invece è assolutamente vietata. Anche in Australia gli embrioni clonati per uso terapeutico non possono essere impiantati in utero e devono essere eliminati entro due settimane.
Molto più flessibile è la Corea del Sud, che ha fatto passi da gigante nel campo delle staminali. Il loro progresso nella clonazione terapeutica è arrivato al punto che possono efficacemente produrre staminali su misura per ciascun paziente e con un basso rischio di rigetto. Le poche notizie (trasparenti) che arrivano dalla Cina fanno capire che lì non ci sono restrizioni, ed è possibile fare ricerca sulle staminali a tutto tondo, embrionali comprese. Forse il business delle cellule bambine potrebbe vedere la luce dall’altra parte del mondo.
Fonte: Il Sole 24 ore