Cosa possono fare davvero le staminali per la sclerosi multipla

Oltre 5 milioni di euro per finanziare la ricerca sulle cellule staminali per la cura della sclerosi multipla, la grave malattia neurodegenerativa che colpisce 72mila persone in Italia. A tanto ammonta il patrimonio racimolato dall’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism): uno sforzo combinato di fund raiser e scienziati, avviato nel 2000, che sta finalmente dando i suoi frutti, come annunciato oggi a Roma in occasione del congresso organizzato dalla Fondazione dell’Aism per celebrare la Giornata mondiale della sclerosi multipla. Il progetto riguarda specificamente tre tipologie di staminali: le ematopoietiche, quelle prodotte dal midollo osseo che poi si differenziano nelle cellule del sangue; le neurali, in grado di generare i tre principali tipi di cellule che costituiscono il cervello adulto (neuroni, astrociti e oligodendrociti); le mesenchimali, cellule multipotenti, che hanno cioè la capacità di differenziarsi in altri tipi di cellule (in particolare ossee, cartilaginee e del tessuto adiposo.

Al momento, raccontano gli esperti dell’Aism, il trapianto autologo di staminali ematopoietiche – per cui sono stati stanziati circa 810mila euro – sta dando ottimi risultati come terapia antinfiammatoria per resettare il sistema immunitario delle persone colpite da sclerosi multipla. Non è una terapia per rigenerare le cellule nervose danneggiate, quindi si dimostra più efficace in soggetti con forme recidivanti-rimettenti della malattia, che non rispondono alle cure convenzionali: in questi casi, il trapianto, specie se effettuato in tempo, potrebbe portare all’arresto della progressione della disabilità e alla prevenzione delle ricadute.

Il nostro paese è all’avanguardia in questo campo: il Centro trapianti di midollo osseo dell’Azienda ospedaliero universitaria Careggi (Firenze) è il centro che ha effettuato il maggior numero di trapianti in Europa: “Sono ormai molte le pubblicazioni – studi singoli o multicentrici – che hanno dimostrato che, in alcuni determinati casi, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche può avere una buona probabilità di successo, spiega Riccardo Saccardi, medico all’Aou Careggi. “Per i casi di sclerosi con elevata attività infiammatoria, i risultati dicono che la progressione della disabilità si arresta in circa l’80% di chi ha sviluppato la malattia da 3 a 5 anni: queste persone non vengono più sottoposte a terapia immunosoppressiva e a oggi non hanno avuto ricadute. Nel 50% di questi ‘pazienti ideali’ è stata anche osservata una riduzione della disabilità”. In ogni caso, precisa Saccardi, c’è ancora bisogno di uno studio prospettico-comparativo che confronti il trapianto con le terapie convenzionali per valutarne quantitativamente l’efficacia.

Anche per quanto riguarda le staminali mesenchimali ci sono ottime notizie in arrivo. E vengono ancora una volta dal nostro paese: l’Italia, infatti, ha avviato assieme ad altre otto nazioni un progetto di ricerca d’eccellenza, il Mesems, l’unico studio internazionale di fase 2 condotto su un alto numero di persone con sclerosi multipla, circa 160.
Il lavoro, iniziato nel 2010 e che si concluderà fra due anni, sta già dando buoni risultati sui 75 pazienti finora arruolati (di cui 27 in Italia): “A oggi il trattamento appare sicuro nel breve periodo: non si è, cioè, verificato alcun evento avverso importante, racconta Antonio Uccelli, neurologo del dipartimento di neuroscienze, oftalmologia e genetica dell’Università di Genova. Al momento non ci sono ulteriori dati disponibili, perché lo studio è stato condotto in “doppio cieco” su campione randomizzato, quindi ancora non si sa chi ha ricevuto le staminali e chi il placebo. “Gli studi preclinici ci mostrano che le cellule staminali mesenchimali svolgono un’azione di immunomodulazione, prosegue Uccelli. “Sono in grado di modulare la risposta autoimmune dell’organismo, spegnendo l’infiammazione che causa il danno neurologico. Altri dati preliminari ci dicono che potrebbero anche promuovere un’azione di protezione nei confronti delle cellule neuronali e, forse, stimolare una funzione neuro-riparativa da parte di altre cellule”. La raccomandazione degli scienziati è, anche in questo caso, di agire il prima possibile, quando il danno ai neuroni non è ancora irreversibile, dato che, purtroppo, “non è possibile far rigermogliare un albero – cioè un neurone – quando non è più in vita”.

Al San Raffaele di Milano, nel frattempo, procede velocemente la ricerca sulle staminali neurali: “I tempi sono maturi per iniziare i primi studi sull’essere umano”, dicono dall’Aism. “Non è ancora possibile stabilire con certezza quando questo succederà, perché le staminali neurali sono molto complesse e costose da ‘produrre’, ma i tempi si stanno accorciando sensibilmente”.
I ricercatori del San Raffaele hanno appena stretto un’accordo con una struttura no-profit approvata dall’Agenzia Italiana del Farmaco per coltivare staminali neurali secondo le cosiddette Gmp (Good Manifacturing Practice, l’insieme di procedure, regole e linee guida in base alle quali vengono prodotti i farmaci) garantendone gli standard di qualità.
Anche in questo caso, i primi risultati sono molto incoraggianti: “Gli studi pre-clinici condotti finora”, spiega Gianvito Martino, direttore della divisione di neuroscienze del San Raffaele, “ci dicono che le cellule staminali neurali, una volta iniettate, possono svolgere un’azione terapeutica molteplice ed efficace; possono, infatti, sia prevenire il danno sia promuoverne la sua riparazione”.
Ulteriori buone notizie potrebbero arrivare anche dalle staminali neurali derivate da cellule della pelle, le cosiddette pluripotenti indotte (iPS): “Anche queste cellule, una volta trapiantate nell’animale da laboratorio, rilasciano fattori tropici che non solo proteggono dal danno gli oligodendrociti ancora in vita ma, soprattutto, li inducono a produrre nuova mielina [la sostanza distrutta dalla sclerosi multipla, nda], conclude Martino.

 

Fonte: Wired-scienza

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