Nuove speranze per la Sindrome di Hurler, grazie alle staminali cordonali
Il trapianto di cellule staminali del cordone ombelicale, se effettuato alla nascita, è efficace per prevenire le anomalie ossee causate dalla Sindrome di Hurler, una rara malattia genetica che provoca nei bambini affetti un ritardo psicomotorio e gravi anomalie scheletriche
Un team di ricercatori, guidati da Marta Serafini del Centro di ricerca Tettamanti del Dipartimento di Pediatria dell’Università di Milano Bicocca, ha diomostrato l’efficacia del trapianto di staminali cordonali per la cura della Sindrome di Hurler, per ora solo in modelli animali.
I bambini con Sindrome di Hurler, uno ogni 175.000, iniziano a manifestare dopo pochi mesi i primi sintomi. Il trattamento consiste nel trapianto di cellule staminali ematopoietiche, tuttavia oggi non è in grado di risolvere del tutto i problemi scheletrici perché viene effettuato quando già la malattia inizia a manifestarsi. Di qui l’idea di sottoporre al trapianto topi da laboratorio appena nati , nei primissimi mesi di vita per prevenire i danni dovuti dalle malformazioni ossee. Lo studio, appena pubblicato sulla rivista Blood e reso possibile grazie a finanziamenti della Fondazione Telethon, “sebbene limitato a una malattia genetica rara dimostra l’importanza di implementare gli screening neonatali”, spiega Marta Serafini. “Ciò – prosegue -permetterebbe, infatti, una diagnosi precoce e il trattamento immediato, che in alcuni casi, come nella sindrome di Hurler, possono influire sulla stessa progressione della malattia”.
Attualmente in Italia gli screening neonatali obbligatori interessano un ristretto numero di patologie e solo in alcune Regioni sono stati estesi ad altre malattie. Il prossimo obiettivo della ricerca, è implementare i programmi di screening regionali per individuare i neonati affetti e sottoporli precocemente al trapianto di staminali cordonali. Cio’ permetterebbe, infatti, una diagnosi precoce e il trattamento immediato, che in alcuni casi, come nella sindrome di Hurler, possono influire sulla stessa progressione della malattia.
Fonte: ANSA
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