Minimo rischio di rigetto con le staminali indotte (Ips)
È stata una scoperta degna di un Nobel, letteralmente. Quella delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) ha infatti portato a Sir John B. Gurdon e Shinya Yamanaka il prestigioso riconoscimento per la Medicina e la Fisiologia, assegnato loro appena tre mesi fa. La scoperta che delle cellule adulte possano essere riprogrammate – ovvero fatte tornare indietro nel passato, a uno stadio indifferenziato – ha delle ripercussioni potenzialmente enormi a livello terapeutico, perché offre l’opportunità di usarle nella medicina rigenerativa, bypassando il problema del rigetto da parte del sistema immunitario (e perché in parte ovvia alle discussioni etiche sull’utilizzo alternativo delle staminali embrionali). Secondo uno studio pubblicato su Nature, infatti, il pericolo che l’organismo che riceve cellule derivate dalle iPSC le rigetti è praticamente trascurabile, diversamente da quanto, paradossalmente, sembrava finora.
Perché paradossalmente è presto detto. Le iPSC sono cellule che vengono prelevate da un organismo e modificate, regolando l’espressione di pochi geni, così che vengano riprogrammate, passando da uno stadio differenziato e adulto a uno stadio indifferenziato, più giovane. Questo fa sì che le cellule possano ancora intraprendere destini diversi, trasformandosi in un tipo cellulare piuttosto che in un altro (sotto la guida di condizioni caratteristiche).
Il grande potenziale delle iPSC risiede però non solo in questo, ma nel fatto che possono essere derivate dallo stesso paziente. Questo quindi elimina, teoricamente, il problema della compatibilità che invece riguarderebbe tipicamente i trapianti di materiale biologico da un organismo all’altro. Ma solo teoricamente.
Senza considerare il loro rischio oncogeno, infatti, uno studio del 2011 condotto da Tongbiao Zhao della University of California di San Diego aveva osservato come le iPSC venivano rigettate dal sistema immunitario quando erano introdotte nei topi. In pratica non venivano tollerate come invece ci si attenderebbe per materiale biologico autologo, ovvero derivante dallo stesso organismo che lo riceve (nel caso dei topi, nello studio si parla di singenico, derivante cioè da organismi geneticamente identici). Come spiegarono allora gli scienziati, le iPSC derivate dai fibroblasti murini venivano rigettate probabilmente a causa di un’anormale espressione genica nelle cellule trapiantate capace di risvegliare il sistema immunitario. La scoperta aveva minato non poco le speranze, sebbene future, di utilizzare le iPSC a scopi terapeutici, ma gli studi sulla immunogenicità di queste cellule sono continuati e i risultati non sono sempre stati gli stessi.
Come spiega infatti il team di Masumi Abe del National Institute of Radiological Sciences (Giappone) oggi su Nature, i rischi di rigetto sarebbero minimi. Gli scienziati hanno valutato la tolleranza del sistema immunitario nei confronti di trapianti di tessuti quali midollo e pelle derivati da iPSC o da staminali embrionali, senza osservare nessuna sostanziale differenza nelle risposte dei topi ai due diversi tipi di tessuti (completa tolleranza in entrambi i casi o limitata reazione del sistema immunitario, con infiltrazioni di linfociti T).
La scoperta però non è da considerarsi definitiva. La controversia sul reale potere immunogenico delle iPSC rimane, e il pericolo che cellule differenziate a partire dalle staminali indotte possano indurre qualche tipo di risposta immunitaria va ancora definito con precisione.
Fonte: Wired – Scienza
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